Giorgio Betti su Urania alla ricerca dell’anima di HAL 9000

Regista, scrittore, opinionista di Piacenza Night, Giorgio Betti pubblica per Mondadori un saggio dal titolo: “HAL 9000: una tecnologia della liberazione?”

Conosco Giorgio Betti da anni. Con lui posso dire di avere parlato davvero di tutto.
Ci accomuna una forte passione politica che ci ha portato, fin da giovanissimi, a confrontarci sull’evoluzione del pensiero socialista e di quello liberale dalla nascita della Seconda Repubblica fino ad oggi.
Ci accomuna un forte senso di appartenenza alla comunità cristiano-cattolica, ai suoi riti e alle sue tradizioni, e un vigoroso prurito nei confronti di chi vorrebbe cambiare le regole del gioco a vantaggio di una professione di fede più comoda e a misura dei propri vizi.

Ci accomuna infine la passione per il fantastico, per tutte quelle espressioni della narrativa contemporanea (ma anche del cinema o del fumetto) che permettono di evadere dalla realtà, esplorando mondi che – fiabeschi all’apparenza – spesso si traducono in un affresco visionario, in grado di anticipare i riflessi della società contemporanea e di quella che verrà in futuro.

Su “Urania” di questo mese (agosto 2009) Giorgio Betti ha pubblicato un saggio che analizza una pietra miliare della fantascienza, fornendoci una rilettura del protagonista, HAL 9000, davvero interessante. Ecco alcuni passaggi interessanti del suo testo, che consiglio a tutti leggere in versione integrale, correndo in edicola o in libreria.

Insomma: H.A.L. ha o non ha l’anima? Le decisioni che prende, gli ordini che impartisce, sono voluti da un “Io” cosciente, oppure sono il frutto rigidamente deterministico di ciò che i programmatori hanno accumulato nella sua memoria?

Nella camera appartata della sua banca dati, si può dire che esista un “software superiore”, che aleggia sul “sistema nervoso del Discovery” dirigendone le operazioni secondo un proprio libero arbitrio?

A prima vista, soprattutto per chi vede 2001 per la prima volta, si direbbe di sì; ma a un’analisi più approfondita, ci si può rendere conto che tale conclusione non è poi così scontata.
H.A.L all’inizio si presenta agli spettatori ne più né meno che come una delle tante macchine parlanti cui oggi siamo abituati, come i caselli autostradali automatici o i navigatori satellitari; alla fine degli anni sessanta, cioè nel periodo della lavorazione del film, tali macchine sono senz’altro meno consuete, ma non certo inimmaginabili.

Lungo lo sviluppo della pellicola, la questione viene posta per la prima volta dal giornalista che intervista Dave, Frank e lo stesso HAL.

“Possiamo dire che HAL ha una propria emotività?”, domanda quello, e i membri umani dell’equipaggio non hanno una risposta.

Chiedere dell'”emotività” di Hal non è esattamente preciso né da un punto di vista teologico né da un punto di vista psicologico, perché fissa l’attenzione immediatamente su quella che è già una conseguenza fisica (le emozioni, per l’appunto) di una personalità che si assume preesistente, e non sull’esistenza stessa di tale personalità; però anche se imprecisa la domanda raggiunge ugualmente l’obiettivo: se esistono delle emozioni, si può indurre che c’è “qualcuno” che le sta provando; che c’è, cioè, un essere consapevole che le produce in seguito a una propria cognizione della realtà.

Gli astronauti del Discovery, come detto, non sanno rispondere; Dave, dal canto suo, azzarda una sentenza dal tono definitivo, asserendo che “nessuno” potrà mai saperlo. Forse la posizione di Dave su questo punto è la stessa dell’Autore; tuttavia, considerando doverosamente il film come opera assestante, svincolata da eventuali “interpretazioni autentiche” (che del resto sono state ripetutamente e intelligentemente smentite da Kubrik stesso), questo dato non può certo inibire un approccio ermeneutico al film, che si spera essere il più rigoroso possibile.

In primis, HAL sbaglia. Al termine della partita a scacchi con Dave, individua un elemento che andrà in avaria di lì a 72 ore. Gli astronauti vanno a estrarre tale unità, e non vi trovano nulla di anormale; da qui l’ovvio sconcerto di fronte all’ipotesi che una “cosa” fino a quel momento considerata infallibile abbia potuto commettere un errore. Anche gli scienziati sulla terra non si spiegano il fatto, giacché secondo i loro calcoli, così come elaborati dal “fratello ” di HAL, l’unità in questione non presenta alcun segno di avaria.

Hal asserisce che l’unica spiegazione possibile è quella di essere in presenza di un errore umano, per cui la cosa migliore è quella di riposizionare l’unità nella sua sede e attendere che si guasti, in modo tale che il problema possa apparire in tutta la sua evidenza. L’unico inconveniente, è che per un po’ il Discovery dovrà stare “senza collegamenti”.

A questo punto, però, il dubbio è già instillato nella testa degli astronauti, che decidono di disattivarlo.

In secundis, HAL uccide. Uccide Frank, uccide i membri ibernati dell’equipaggio e tenta di uccidere Dave, il quale riuscirà a salvarsi grazie a dei sani elementi fisici e meccanici; quelli unici, cioè, sui quali, per quanto riguarda il Discovery, non si estende l’onnipotenza di HAL; come la leva del boccaporto, o il cacciavite con cui smagnetizza il computer stesso.

Terza considerazione: Hal mente; o, comunque, sembra mentire, nel senso che parrebbe simulare una cognizione diversa da quella che effettivamente ha. Chiede a Dave se non gli paia strano tutto il segreto intorno alla spedizione ostentando una propria certa ignoranza intorno a essa, ma nel prosieguo del film scopriremo che lui è perfettamente a conoscenza di tutti i dettagli. In più, quando nella capsula Frank rivolgendosi verso l’oblò gli chiede di compiere la rotazione (ad alta voce, per assicurarsi di non essere udito), Hal finge di non capirne il labiale, mantre, come noto, sarà proprio grazie a tale capacità, che capirà le intenzioni dell’equipaggio.

Ora: i tre elementi su elencati (errore, omicidio, menzogna), sono per forza dovuti al libero arbitrio di un “Io” cosciente?

Il saggio di Giorgio Betti dal titolo “HAL 9000: una tecnologia della liberazione?” è pubblicato su URANIA di agosto 2009, edizioni Mondadori.

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