Il Piacenza Jazz Fest con una insospettabile anima blues

Playlist pleonastica: ”A me me piace o’ blues” di Pino Daniele

POST IT con SOTTOFONDO – “Sonavan le quiete stanze, e le vie d’intorno” avrebbe certamente cantato Leopardi se fosse passato nella nostra città in questi giorni. Jazz ovunque, nei locali deputati e in quelli improvvisati (il jazz è anche improvvisazione…). Vibrafoni, marumbe e fisarmoniche non solo contrabbassi, trombe e pianoforti. Nel marzo “fatto di attimi e settimane enigmistiche” aumentano quei pochi che capivano il jazz. Spopolano le cravatte sbagliate come i vestiti della Marcuzzi al Grande Fratello, gli aperitivi swing e i jazz brunch.
Anche il centro commerciale se la tira più del solito e le chiacchiere del Bar Sport di Benni con un du du du du da (alla Conte e non alla “Trottolino amoroso”) si trasformano magicamente in “parole swinganti”. Cosa resta di quelle donne che odiavano il jazz? Che abbiano imparato finalmente a capirne il fraseggio.

In altri termini, tutti zitti “sotto le stelle del jazz”, stregati da note funamboliche in bilico su fili sottilissimi. Per gli irriducibili delle controtendenze e i neri a metà, invece, la preferenza cade sul blues, non avverso ma complementare come la carne al pesce o il mare alla montagna. La scelta non s’impone, ma si aggiunge e il silenzio corale esplode in uno sfogo in prima persona che suona come un vero e proprio manifesto per incorreggibili:

“Tengo ‘a cazzimma e faccio tutto quello che mi va pecchè so’ blues e nun voglio cagna”.

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