L’autenticità di Fabrizio
Definire Fabrizio De Andrè un poeta è un’affermazione comoda e scontata, e per certi versi errata: non si considerava tale e nemmeno gli importava di venire riconosciuto in quel modo.
Fabrizio era una persona piena di vita, con un carattere complesso e difficile, a volte spigoloso e non certo accomodante, aveva la facoltà di portarti all’esasperazione, quasi alle mani, per poi placarsi e diventere un autentico bonaccione, chissà, forse era il suo modo per metterti alla prova.
Mi hanno sempre raccontato questo le persone e i musicisti che hanno lavorato con lui, in effetti leggendo le biografie spuntava un’immagine differente da quella emersa ultimamente dai nostri mediocri media: il poeta ribelle, il cantore degli umili, degli sconfitti e via di altra retorica.
Faber non era retorico, era vero, genuino, era una persona franca, questo ho potuto concludere dopo dieci anni circa in giro per l’Italia partecipando a incontri, seminari, manifestazioni in suo onore, tutto molto prima che arrivasse la televisione per celebrare comodamente il decennale della scomparsa: un programma del politicamente corretto Fazio, sul quale ho personalmente espresso molte riserve, e un evitabile cornicetta durante il Festival di Sanremo.
Mi ricordo forse il più bell’incontro: si tenne a Carrara tra il 5 e il 6 Aprile 2002, “Signora libertà, signorina anarchia” ricordando Fabrizio De André nel ventennale del suo concerto in sostegno della stampa anarchica a Carrara
(6 aprile 1982), fu una due giorni in mezzo a gente che aveva gli stessi pensieri di Fabrizio, insieme alla gente di Fabrizio, agli anarchici, alle persone semplici, nulla a che vedere con il teleschermo e un palco incensato di mediocrità come Sanremo.
Fabrizio era "un’artista maggiore" quello si, cosa importa la definizione di poeta, cantastorie, lui amava la musica e scelse di fare il musicista, avrebbe fatto il poeta se gli fosse interessato, ma non è stato così; ha scelto di tenersi lontano dalla televisione e dio solo sa quanto merito ha avuto, ha frequentato gli anarchici e ha finanziato appena ha potuto le loro iniziative e il loro movimento, e di questo non si è ricordato nulla, troppo scomodo, meglio far risentire per la centesima volta "La canzone di Marinella", ma lui non era solo questo, era molto di più.
Faber scrisse contro il potere, fece concerti gratutiti, devolse il ricavato alla stampa anarchica, pagava i suoi musicisti più di ogni altro artista italiano, lui aveva una "voce potente, una voce allenata e battere il tamburo…adatta per il vaffanculo", e la usò, ma di questo non si vuole memoria, si vuole l’immagine romantica del cantastorie con la chitarra, il poeta più grande del novecento, l’intellettuale fragile e altre etichette facili facili, comode per la televisione e per la cultura piatta che ci inquina l’ambiente.
Parlava di rom e di zingari, prima dell’infausto presente si chiese come queste popolazioni avrebbero potuto sopravvivere dato che i loro mezzi di sostentamento erano ormai spariti: l’artigianato, il circo e gli spettacoli in strada, leggeva Malatesta i grandi del pensiero libertario, sentite cosa rispose a queste domande:
Come mai ti autoanalizzavi sui problemi sociali degli emarginati, delle puttane, o su problemi come quello dell’antimilitarismo (penso a "La guerra di Piero")?
Come mai si diventa libertari? O hai frequentato un ambiente libertario, cosa che ho fatto fin dai diciotto anni, o altrimenti perché hai un impulso a pensare che il mondo debba essere giusto, che tutti debbano avere come minimo le stesse condizioni di opportunità per potersi esprimere ed evolvere. Mi ricordo del mio atteggiamento nei confronti della microsocietà in cui vivevo in campagna, quando avevo quattro anni. Ero sempre dai contadini, assimilavo molto più da loro che dai miei genitori, ero in mezzo alle bestie, volevo bene sia ai contadini sia alle bestie, ci stavo bene, li sentivo parte di me, più veri. Il discorso poi si è evoluto quando ho cominciato a chiacchierare con persone che erano dichiaratamente di fede anarchica.
Che influenza hanno avuto questi tuoi contatti?
Sicuramente decisiva per la mia formazione culturale, di tipo appunto libertario. In più mio padre mi portava incautamente i primi dischi di George Brassens perché lui aveva diversi contatti con la Francia. E Brassens era anche lui un libertario, le sue canzoni scavavano nel sociale. Brassens non è stato solo un maestro dal punto di vista didattico, per quello che può essere la tecnica per fare una canzone, è stato anche un maestro di pensiero e di vita. Mi ha insegnato per esempio a lasciare correre i ladri di mele, come diceva lui. Mi ha insegnato che in fin dei conti la ragionevolezza e la convivenza sociale autentica si trovano di più in quella parte umiliata ed emarginata della nostra società che non tra i potenti.
e di questo Fabrizio dove trovate traccia ora? si tenta di ripulire anche lui per renderlo televisivo, mediatico, di facile consumo e di facile definizione; ma restano le sue parole e restano tutte le persone che lo hanno frequentato, tutti coloro che non hanno aspettato San Remo o Fazio, oppure qualche raccolta di cd in negozio, tutti coloro che hanno voluto conoscere veramente chi è stato Fabrizio.
Fatelo anche voi, c’è molto di più, e c’è molto da imparare partendo da lui.