Il corpo delle donne. L’impietoso ritratto del femminile in televisione.

La ben nota condizione femminile in televisione e le vicissitudini di Berlusconi riportano all’attenzione un originale documentario sul velinismo e sul mito dell’eterna giovinezza.

Che ci fosse qualcosa di sbagliato nella televisone del nostro paese ce n’eravamo accorti già da tempo pure noi maschietti. Che continuassimo a fingere che ci stava bene perché in ultima analisi c’e’ uno strumento che riflette il nostro libero arbitrio chiamato telecomando ci consolava. Ma alla luce delle ultime controversie che minano l’immagine e la reputazione del nostro Presidente del Consiglio (e del paese) sarebbe il caso di lanciare non dico un dibattito, ma almeno una riflessione onesta.

Lo spunto lo troviamo ne Il corpo delle donne, documentario di Lorella Zanardo e Marco Malfi Chindemi, scritto dalla Zanardo e girato insieme a Cesare Cantù. Presentato in anteprima a fine marzo di quest’anno, è stato selezionato al Festival di documentari Italiani Brava Gente di Firenze ed è possibile guardarlo per intero su Il corpo delle donne.

L’opera, attraverso una sequenza di immagini e dialoghi di 25 minuti tratti dai nostri palinsesti, induce a riflettere in merito all’immagine della donna in televisione. Immagine gravida di conseguenze sul piano sociale, se si considera che la televisione è lo strumento di comunicazione di massa più potente e che, come indica la Zanardo, il 60 % del pubblico è femminile.

Il documentario si muove dal velinismo all’ossessione per il lifting e attraverso un montaggio efficace evidenzia l’esistenza, nelle fasce orarie più disparate (da Uno Mattina fino a tarda notte), di un modello femminile unico, ripetitivo e manipolato che domina la nostra televisione popolare intesa come specchio della nostra società e del nostro costume.

Non può non tornarmi in mente quella diciottenne che sosteneva con orgoglio che Papi l’avrebbe aiutata a entrare nel mondo dello spettacolo o in alternativa le avrebbe facilitato l’accesso ai circuiti politici, perché tali sono le sue ambizioni.

Il riscontro televisivo di una condizione femminile deprimente, caricatura di un’ emancipazione degenerata e confinata alla sfera sessuale, di una riduzione e autoriduzione a oggetto del desiderio attraverso una parossistica ricerca della perfezione del corpo, di una costante battaglia contro le leggi della natura, di una continua gara contro il tempo sono il leitmotiv di quest’opera.
Il documentario, con la voce fuori campo della Zanardo, analizza quest’estetica onnipresente da strip club, in cui trionfa un modello unico di femminilità, in cui le donne vengono dipinte senza qualità e competenza (ma sessualmente desiderabili), in cui il solo sforzo compiuto nella rappresentazione di se stesse sembra essere quello attinente alla tecno-medicina con il suo corollario di bisturi, di liposuzione, di botox, di silicone e vari altri rigonfiamenti innaturali.

L’autrice li chiama fenomeni da baraccone del grande circo televisivo e tuttavia allarga la sua analisi fino ad includere la presenza di un profondo complesso femminile: in un mondo in cui conta apparire più che essere, in cui quello che conta è l’idea del soggetto vincente, famoso e potente, la donna si troverebbere a rincorrere dei prototipi di bellezza e di successo che non ha creato, rischiando una pericolosa crisi di identità. Come se non riuscisse più a guardarsi allo specchio, ad accettarsi così com’e’, e, davanti a questo modello unico da perseguire, facendo di tutto per nascondere il proprio volto, il proprio corpo, occultando così la propria autenticità, la propria personalità.

In questo poco edificante spaccato di realtà televisiva e sociale, in cui le donne più mature inseguono i propri sogni di eternità mettendosi a tutti gli effetti in competizione con le veline, l’autrice cita un anedotto della grande Laura Magnani che, in sala trucco, disse alla truccatrice che voleva camuffarle le rughe: perché dovrei nasconderle? Ci ho messo così tanto a conquistarle. Emblematica battuta, comunica un’altra sensibilità. Una sensibilità in cui la qualità è superiore alla quantità, in cui l’essere predomina sull’apparire, in cui un viso e un corpo non trasfigurati esprimono una personalità unica, un mondo, un vissuto.

Sono l’impostazione e la natura della televisione che vengono messi alla sbarra più che i personaggi femminili di questo tragicomico teatrino eppure l’autrice pone dei quesiti ben precisi: perché? Che cosa è andato storto? Perché la donna si fa umiliare? Perché non reagisce?
Trapela pessimismo e un filo di rabbia in questo documentario, ma anche un messaggio forte che suona come un monito alle donne italiane, televisive o meno, poiché è in gioco la soppravvivenza della loro identità.

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