Nicola Negri

Mondiali 2006, il podio del trionfo abbandonato in un parco

Un oggetto, che per molti può non rappresentare nulla ma che, per la maggioranza dei tifosi italiani, è uno dei simboli di una delle più grandi gioie calcistiche di sempre. Si tratta del podio dei Mondiali di Germania 2006, quello su cui Fabio Cannavaro salì nella notte del 9 luglio per alzare al cielo la Coppa del Mondo vinta nella finale dell’Olympiastadion di Berlino contro la Francia. Data l’importanza simbolica del cimelio, ci si aspetterebbe di trovarlo in qualche museo specializzato o, al massimo, nella casa di qualche appassionato collezionista. Il podio del quarto Mondiale vinto dalla Nazionale italiana di calcio giace invece, abbandonato come un rifiuto, nel parco che circonda lo stadio della capitale tedesca.

Il portavoce dell’assessorato allo sport del Comune Martin Pallgen, a proposito di questa storia più all’italiana che alla tedesca, ha dichiarato a ‘espnfc.com’: “Non so dirvi da quanto tempo sia lì”, mentre l’event manager dell’Olympiapark Lutz Imhof ha così rincarato la dose: “E’ un avanzo. Una casa d’aste con sede ad Amburgo, che agisce per conto della FIFA, non è riuscita a venderlo: un paio di italiani si sono interessati, ma nessuno l’ha mai comprato. Chi vuole, lo può prendere”. Il podio risulta ovviamente rovinato, con alcune sue parti che non hanno resistito allo scorrere di questi undici anni, cosa che non sembra scoraggiare il campione del mondo Marco Materazzi, che attraverso ‘La Gazzetta dello Sport’ ha fatto sapere di essere pronto a prendersene carico. Per non lasciar andare allo sfacelo il simbolo di una delle gioie sportive più scolpite nell’immaginario collettivo italiano.

Conte vs Mourinho, dietro la rissa odio o sceneggiata?

Antonio Conte e José Mourinho, dopo la rissa verbale che stava per degenerare in fisica durante Chelsea-Manchester United di FA Cup, sono sulla bocca di tutti gli appassionati di calcio. La domanda ricorrente è: lo ‘Speciale’ italiano e quello portoghese si odiano, addirittura detestano, oppure giocano nell’ambito dei rispettivi personaggi che si sono costruiti nel corso di due carriere spesso parallele e costellate di successi? La seconda lite tra i due, in favore di telecamere ma anche, stando a quanto scrivono “Marca” in Spagna e parecchi tabloid in Inghilterra, negli spogliatoi, non ha insomma fatto altro che riaprire il dibattito intorno a questi due fuoriclasse della panchina.

Un altro l’incontro-scontro previsto tra Conte e Mourinho, l’ultimo stagionale, il 16 aprile ad Old Trafford. I due precedenti si sono svolti a Londra e hanno visto trionfare l’ex tecnico della Juventus e della Nazionale italiana. In occasione del 4-0 dell’ottobre 2016, l’ex allenatore interista era esploso nel finale, dicendo all’orecchio del collega: “Così non va, non si esulta in questo modo, è mancanza di rispetto nei confronti dell’avversario sconfitto”. Il mister ‘Blues‘ ha proseguito la marcia in Premier League, il collega ha iniziato a correre con i suoi ‘Red Devils‘, fino ai recenti quarti di finale di Coppa d’Inghilterra, in cui il portoghese ha masticato di nuovo amaro, uscendo stavolta sconfitto per 1-0, dopo urla e parolacce a bordo campo. Per la prima volta insultato dai suoi ex tifosi, Mou ha provato a rifarsi nel dopopartita – “Io Giuda? Sì, ma sempre Number One” – in attesa della rivincita sul campo.

Raymond Kopa, morto il primo Pallone d’oro francese

E’ morto all’età di 85 anni Raymond Kopa, leggenda del calcio francese degli anni ’50, ex attaccante del Real Madrid e della Nazionale transalpina, nonché primo Pallone d’oro per la Francia nel 1958, anno in cui conquistò il terzo posto ai Mondiali svedesi vinti dal Brasile, venendo tra l’altro incoronato come miglior giocatore del torneo. Con i ‘Blues‘, Kopa disputò anche il Mondiale del ’54, indossò 6 volte la fascia di capitano e realizzò 18 gol in 45 partite.

Fantasista della straordinaria versatilità, il “Napoleone del football” scrisse pagine memorabili a partire dallo Stade de Reims, dove mise nel palmares due campionati di Francia e arrivò in finale di Coppa dei Campioni, persa con quel Real Madrid che poi lo acquistò. Con gli spagnoli, Raymond Kopaszewski – questo il suo nome all’anagrafe – vinse tre Coppe Campioni consecutive (1957-1959), oltre che due Liga, prima di rientrare al Reims facendo in tempo a vincere altri due campionati. Ritiratosi nel 1967, e primo francese ad essere insignito della Legione d’Onore nel 1970, Kopa vinse inoltre nel 2010 il premio del presidente Uefa.

Ezequiel Lavezzi, 27 milioni all’anno e zero gol per il ‘Pocho’ cinese

Celebrato come il “futuro Maradona” quando sbarcò in Cina un anno fa, in dodici mesi Ezequiel Lavezzi ha collezionato appena dieci presenze (nove da titolare) e zero gol con l’Hebei China Fortune. I tre assist non bastano di certo a giustificare il contratto da poco meno di 580mila euro a settimane comprendente – come spifferato a dicembre da “Football Leaks” – due case, altrettanto auto, un cuoco e un autista personale. A conti (circa 27,5 milioni di euro all’anno) fatti, per i cinesi non proprio quello che si definirebbe un affare. Come se non bastasse, l’ultimo match ufficiale del 31enne attaccante argentino per la squadra cinese risale allo scorso maggio, dato che un mese dopo il ‘Pocho‘ si ruppe un braccio durante la semifinale di Coppa America contro gli Usa, con tanto di successiva operazione.

Grazie a Instagram, apprendiamo però che l’ex punta di Napoli e Psg è finalmente tornato ad allenarsi coi compagni, vedi le foto postate da Marbella, località spagnola scelta dall’Hebei per la preparazione pre campionato. Durante lo scatto relativo all’amichevole di qualche giorni fa, i commenti si dividono tra le suppliche per un suo ritorno nel calcio europeo e le ironie sui soldi spesi dal club cinese per acquistarlo. E, tra i messaggi, ecco anche un ‘avvertimento’ semiserio: “Cavani non sei riuscito a portartelo lì! Sta per arrivare Hernanes… accontentati!”. Per il settimo nella classifica dei più sopravvalutati, guidata da Mario Balotelli e stilata ad agosto 2015 dal ‘Telegraph’.

Alexander Isak, l'”Ibra nero” è del Borussia Dortmund

Il “nuovo Zlatan”? E’ del Dortmund! Il non ancora maggiorenne attaccante svedese Alexander Isak, dopo essere stato ad un passo dal Real Madrid, ha infatti firmato con il Borussia. I fatti dicono che i Blancos avevano raggiunto l’accordo con l’AIK Solna sulla base di dieci milioni di euro; è però stato lo stesso “Ibrahimovic nero” a decidere per il club tedesco, un club a suo parere migliore per completare il processo di crescita, data la capacità messa in mostra di lanciare giovani talenti.

La possibile partenza di Pierre-Emerick Aubameyang potrebbe inoltre regalare ad Isak una maglia da titolare già nella prossima stagione, cosa che non sarebbe stata possibile in Spagna, dato che il ruolo è già coperto da due mostri sacri come Karim Benzema e Alvaro Morata. Scopriremo presto se la scelta di uno dei sessanta migliori calciatori nati nel 1999 – secondo “The Guardian” – è stata corretta o meno, ma soprattutto se l’eredità di Ibra è in buoni… piedi.

Chelsea, in arrivo lo Stamford Bridge da 60mila posti

Chelsea, ampliamento di Stamford Bridge in arrivo! E’ infatti arrivato dalle autorità locali il via libera per aumentare il numero di posti a disposizione dello storico impianto dei Blues, che presto potrà ospitare 60mila spettatori. Nonostante manchino alcuni importanti passaggi, l’ampliamento dello stadio è ormai definito. Costruito nel 1877 e casa dell’attuale team di Antonio Conteed ex grande amore di José Mourinho – dal 1905, attualmente Stamford Bridge ha una capacità di 41600 spettatori. Grazie a questo allargamento, il Chelsea raggiungerà come capienza i teatri delle altre londinesi Arsenal, West Ham e Tottenham (quando i lavori a White Hart Lane saranno completati).

Per una inglese i cui tifosi sognano già di seguire la squadra nell’ampliato (e bellissimo, vedi foto) impianto, ce n’è un’altra con ben altri pensieri. Il Millwall – attualmente militante nella Football League One, la terza divisione inglese – rischia infatti di dover addirittura emigrare da Londra. Le preoccupazioni dei tifosi non sono infondate se è vero che anche il sindaco della capitale Sadiq Kahn ha dichiarato che il Millwall deve restare a Lewisham, il quartiere dov’è nato e la sede. Noi tifiamo per loro perché di Milton Keynes Dons (qui per saperne di più) ce n’è bastato uno.

Sami Khedira tra Ancelotti e la Champions con la Juventus

Sami Khedira, tempo al tempo! Arrivato alla Juventus dal Real Madrid con qualche acciacco di troppo, dopo l’ingresso – pur con gli infortuni a inframmezzarne la stagione – del 29enne centrocampista tedesco in squadra, nel 2015-2016 i bianconeri tornarono a dominare il campionato. Anche Carlo Ancelotti, dopo una partenza sprint, ha avuto bisogno di un periodo di assestamento al Bayern Monaco; al proposito, Khedira ha dichiarato alla “Bild”: “So come è fatto Ancelotti: dà molte, molte, molte libertà. Fa così perché vuole che i suoi giocatori siano creativi. Non ho mai lavorato con Guardiola ma penso che con lui invece ci siano regole molto ben stabilite. Il cambiamento è forte”. Sami Khedira, del tecnico emiliano, non può che parlare bene, avendoci vinto insieme una Champions League al Real Madrid: “Io con Carlo mi sono trovato molto bene e le sue vittorie parlano per lui. Non è il tipico italiano. Credo che alla Juve lo stile sia più simile a quello di Pep che al suo: allenamento intenso, molta video-analisi, molta tattica. Carlo è stato influenzato dalle sue esperienze all’estero, non è il tipico italiano”.

Sami Khedira – che con la sua Juve ha appena perso ai rigori la Supercoppa italiana – anche date le sue origini turche è testimone di tradizioni e globalizzazione: “Suonerà banale, ma ogni nazione nella quale ho vissuto ha le proprie tradizioni. In Spagna sono ritardatari di natura, mentre a Torino sono più vicini alla mentalità tedesca. Sono tutti molto puntuali, lavoratori, nonostante questo anche qui, di tanto in tanto, si trova il tempo per stare con la famiglia e bere un buon vino rosso. Cerco di apprendere il meglio da qualsiasi esperienza. Imparare le nuove culture per me è un regalo”. Di pregiudizi sui tedeschi quello che nell’attuale stagione è diventato uno stakanovista non ne ha trovati né in Spagna né in Italia: “Credo sia anche perché attualmente ci sono molti sportivi tedeschi in giro per il mondo”. Fra loro c’è lo stesso Khedira, in grado di vincere in ogni nazione in cui ha giocato, compresa l’Italia. E che ora ha voglia di tornare a vincere in Europa. Basta dare tempo al tempo.

Cristiano Ronaldo punta Leo Messi dopo il poker al Pallone d’oro

Cristiano Ronaldo di nuovo re. Il fenomeno del Real Madrid ha vinto il suo quarto Pallone d’oro riducendo le distanze da Leo Messi, che ora ne conta solo uno in più. Dal 2008 è un dominio porto-argentino, tanto che in una sola occasione – nel 2010, con Andrés Iniesta secondo classificato – Ronaldo e Messi non hanno occupato i primi due gradini del podio del premio tornato proprietà esclusiva di France Football. Per Ronaldo è il terzo Pallone d’oro negli ultimi quattro anni e arriva sulla spinta dei trionfi in Champions League col Madrid e ad Euro 2016 con il Portogallo. I tre trofei – è arrivata anche la Supercoppa europea – e i 51 gol in 55 partite sono un argomento piuttosto forte a favore di CR7 su Leo Messi e Antoine Griezmann, mentre il sesto posto di Gareth Bale suona come diminutivo per il gallese.

Il Pallone d’oro 2016 ha visto arrivare quarto Luis Suarez e quinto Neymar, lasciando spazio nella top ten al Leicester dei miracoli di Riyad Mahrez (settimo) e Jamie Vardy (ottavo), mentre Gigi Buffon si è piazzato nono dopo una stagione esaltante. Scorporato dopo sei edizioni dal Ballon d’Or Fifa – la Federazione mondiale assegnerà a gennaio il The Best – il Pallone d’oro ‘classico’ ha quasi sempre premiato i risultati nelle grandi competizioni dell’anno. A festeggiare è però stato ancora una volta Cristiano Ronaldo, che ha staccato Johan Cruijff, Michel Platini e Marco van Basten e ora punta il ‘nemico’ Messi: “E’ una grande gioia, ma voglio rivincerlo anche nel 2017”.

Tragedia Chapecoense, l’Atletico Nacional propone la Copa Sudamericana alla memoria

La tragedia… e la proposta. L’aereo – un RJ-85 della compagnia Lamia con cui qualche tempo fa aveva volato anche la Nazionale argentina – che trasportava i giocatori della Chapecoense, squadra di Serie A brasiliana che si stava recando in Colombia per giocare la finale di Copa Sudamericana, a causa di “problemi elettrici” si è schiantato nella notte mentre si stava avvicinando all’aeroporto Cordoba di Medellin alle 10 ora locale, le 4 in Italia; tra i 77 passeggeri (tra cui 48 tesserati del club, 21 giornalisti e 9 membri dell’equipaggio) solo 5 sarebbero i sopravvissuti per una tragedia che in molti hanno già paragonato a quelle del Grande Torino nel 1949 e del Manchester United nel 1958.

Oltre ai messaggi di solidarietà da tutto il mondo dello sport, un’iniziativa lodevole e molto significativa è arrivata da quelli che avrebbero dovuto essere i rivali dei brasiliani nella finalissima della corrispondente della nostra Europa League. I colombiani dell’Atletico Nacional avrebbero infatti chiesto alla Federazione sudamericana di assegnare la coppa alla Chapecoense: una decisione confermata informalmente e avallata dalla dirigenza e dall’intera rosa della squadra. L’Atletico Nacional stava inseguendo una clamorosa doppietta in questo 2016, dopo essersi già laureato campione della Copa Libertadores, la nostra Champions League; a differenza di quanto accade in Europa, in Sudamerica le squadre possono infatti partecipare ad entrambe le competizioni. Di fronte alla tragedia, però, i titoli sportivi passano in secondo piano: da qui il nobile gesto del club colombiano, per la “favola Chape” che non esiste più.

José Mourinho vs Arsène Wenger… non finisce mai. Alla vigilia di una dei match più attesi di Premier League, e dopo gli scontri dialettici – e non solo, vedi il video a corredo dell’articolo – del passato, al contrario del tecnico francese il collega portoghese ha infiammato la sfida attraverso la conferenza stampa: “Wenger riceve sempre il rispetto, io no, nonostante abbia vinto tanto. In Premier League, la nostra è la sfida tra i manager con i risultati migliori da quando Sir Alex Ferguson non c’è più. Stiamo parlando di sei o sette titoli, significa che meritiamo rispetto. Il mio ultimo titolo risale a diciotto mesi, non diciotto anni, fa, ma non percepisco rispetto nei miei confronti”.

Mourinho, a cui l’Arsenal del ‘nemico’ fa visita da meglio piazzato in classifica, si è detto felice di essere al Manchester United: “Ho ottimi risultati: ho vinto nove campionati e voglio la quarta Premier. E’ semplice, sono al club in cui voglio essere“. Ma è Wenger il chiodo fisso (o meglio uno dei) di Mou: “I miei risultati contro Wenger non sono importanti. Non gioco io contro altri allenatori, è la mia squadra che gioca contro le squadre di altri tecnici. Ogni partita è una cosa a se, isolata da ciò che è successo prima e ciò che succederà dopo. Non parlo di risultati individuali. I risultati di un allenatore dipendono da quelli della squadra”. E allora, che vinca semplicemente la squadra migliore.