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Troppe polmoniti sospette. Il coronavirus girava già nel Basso Lodigiano

Un articolo di Lucia Scopelliti per AdnKronos Salute racconta quello che in molti, soprattutto nelle zone del contagio, sospettano da tempo. Il coronavirus sta circolando da un bel po’.

Quando è scoppiato il caso del paziente 1, il 38enne ricoverato a Codogno, i medici della zona avevano già riscontrato un numero di casi di polmonite molto superiore alla media. A raccontarlo all’AdnKronos è un medico di famiglia in quarantena a Castiglione d’Adda da venerdì perché è stata in contatto con almeno una ventina di suoi pazienti, risultati positivi al nuovo coronavirus Covid-19.

“Nell’ultima settimana – dice la dottoressa intervistata – c’erano state queste brutte polmoniti, alcune delle quali avevano richiesto ricoveri. Le abbiamo viste nonostante quest’anno l’epidemia di influenza fosse bassa. Però non c’erano particolari allerte. Per il nuovo coronavirus tutto quello che dovevamo fare era chiedere agli assistiti se venivano dalla Cina, e in particolare dall’area a rischio” per la Covid-19. “E non è che in una cittadina piccola come Castiglione d’Adda ci fosse tutta questa ressa di pazienti rientrati dalla Cina. I nostri assistiti quando facevamo la domanda si mettevano a ridere. L’unico protocollo da applicare era quello”. Nessuno dei pazienti affetti da coronavirus aveva avuto contatti diretti o indiretti con la Cina. “E fra i primi ammalati ci sono medici. Questo è indicativo: non è che in 10 minuti di visita lo prendi. Il virus girava già, almeno da una settimana, dieci giorni”.

“Siamo stati un po’ delle cavie. Ma ora non si può permettere che in altre regioni si ripetano i nostri inevitabili errori. L’unica cosa che speriamo è che la situazione venga presa in mano a livello nazionale. Servono due cose minime. La prima è che bisogna dotare di presidi di protezione i medici, e questi protocolli di protezione vanno usati già adesso, senza aspettare che si presenti il primo caso positivo al nuovo coronavirus. E poi va istituito un sistema di prenotazioni e di gestione delle visite solo su appuntamento, per evitare che i pazienti si presentino direttamente in ambulatorio magari con una sospetta Covid-19. Il nostro errore è che eravamo impreparati”. “In questi momenti – dice il medico di famiglia all’AdnKronos Salute – si sente la mancanza di coordinamento. Le altre regioni ora non possono sperare che non avranno casi. Come non si può sperare questo al di fuori dalla zona rossa. Il 50% della popolazione attiva di Castiglione d’Adda, per fare un esempio, lavora su Milano e Piacenza. E’ impensabile sperare che non arriverà altrove. Spero dunque che si applichi un protocollo nazionale e non si facciano gli stessi errori. Capisco l’impreparazione quando ancora non si sa di avere il virus ‘in casa’. Anche se – puntualizza la dottoressa – abbiamo vissuto altre emergenze in cui eravamo più preparati fin dall’inizio”.

Per esempio, continua, “quando c’è stato l’allarme Sars noi medici avevamo già tutti i presidi per affrontarla, poi non è arrivata. In questo momento le altre regioni non possono non far tesoro degli errori fatti da noi. E’ giusto non creare allarmismo perché la maggior parte casi decorre in maniera lieve, però è pur sempre un’infezione molto contagiosa. E’ in grado di prendere una fetta di popolazione grandissima. Ripeto, non si aspetti il primo caso per applicare protocolli di protezione. Il minimo è avere in studio una protezione individuale e ridurre l’affluenza nelle sale d’aspetto”. A non funzionare questa volta “per esempio il fatto che i medici di famiglia hanno avuto all’inizio informazioni scarsissime. Non si è pensato che noi siamo i primi a contatto con la gente. E in questo periodo avevamo gli ambulatori affollati”.

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