La Pubblicità può essere Etica. Anche noi dobbiamo provare a cambiare il mondo

Il marketing stimola il consumismo estremo? In parte sì, ecco perché dobbiamo fare qualcosa

Siamo tutti preoccupati che il mondo stia crollando a pezzi. La spinta innaturale al consumo porta a divorare risorse, a sfruttare Paesi e popolazioni povere in favore di chi è più fortunato, a sacrificare ogni cosa sull’altare del dio mercato. Il profitto è la forza che più di ogni altra muove le cose sul nostro pianeta. Quando la mattina esco di casa per recarmi al lavoro, guardo le mie bimbe e penso a quale futuro stia preparando per loro insieme alle donne e agli uomini della mia generazione. Noi non abbiamo scuse: abbiamo avuto l’opportunità di studiare, di viaggiare, di vedere il mondo con i nostri occhi, di costruire la nostra vita sui solidi valori che i nostri genitori e i nostri nonni ci hanno trasmesso.
Occupandomi di comunicazione sono perfettamente consapevole di quanto il marketing possa essere di stimolo al consumismo estremo. Blacklemon, la mia agenzia, aiuta le aziende a crescere, a vendere di più e di fatto ad alimentare i consumi. Tuttavia il mio lavoro può essere svolto in modo spietato, mirando esclusivamente al profitto, oppure in modo etico, cercando di presentare ai clienti un ventaglio di azioni possibili, efficaci, ma anche sostenibili.

Molte persone ritengono che la Pubblicità sia una forza talmente persuasiva ed aggressiva da riuscire a:
> manipolare la volontà dei consumatori agendo sul loro inconscio;
> influire sui comportamenti delle persone fino a cambiarli;
> incidere sulle vendite dei prodotti in modo direttamente proporzionale rispetto alla quantità di denaro investito.

Sono d’accordo solo in parte. Queste teorie si basano sul concetto che il consumatore sia uno stupido. E’ vero che la pubblicità spesso è aggressiva e che siamo costantemente bombardati da migliaia di messaggi promozionali, ma è statisticamente provato che:
> nonostante i forti investimenti pubblicitari la maggior parte dei nuovi prodotti lanciati sul mercato non ha successo e fallisce miseramente;
> le vendite determinate direttamente dalla pubblicità sono in realtà modeste, anche perché i consumatori sono abitudinari e propensi ad affidarsi ad un ventaglio ristretto di marche e prodotti conosciuti;
> parlando di beni di largo consumo, quelli sui quali la pubblicità insiste maggiormente raramente incrementano le vendite di più del 2% all’anno.

Mi sono avvicinato al mondo della comunicazione nei primi anni ’90, affascinato dalla nascita di Internet. Nel 1994, quando ho creato quasi per gioco il mio primo sito web, osservando che questo poteva essere raggiunto senza filtri da qualsiasi cittadino del mondo, ho compreso che la nostra realtà sarebbe cambiata molto rapidamente. E così è stato. Oggi è chiaro a tutti che “il mercato” non è un’entità astratta, ma è composto da essere umani che pensano, ragionano, vivono ogni giorno. La prima tesi del Cluetrain Manifesto (un testo che ha ormai 10 anni, ma che tutti dovrebbero leggere) dice chiaramente che “I mercati sono conversazioni”, e nell’era dei social network, dei blog, dei furum e delle community tutto questo è vero all’ennesima potenza.

La mia nonna mi diceva sempre che “le bugie hanno le gambe corte”; bene, su Internet le hanno ancora più corte. La gente parla sul Web, si confronta, commenta e legge le recensioni altrui. La comunicazione si muove in modo rapidissimo, quasi in tempo reale. Non c’è modo per le aziende e per gli esperti di marketing di mettere in atto tecniche ingannevoli o di tentare colpi bassi. La Rete è spietata: chi mente viene immediatamente smascherato dai consumatori più attenti e rischia – giustamente – di pagare un prezzo molto alto.

Grazie ad Internet le persone sono sempre più informate e il ruolo della pubblicità, soprattutto di quella etica, è di continuare ad informare. Nel modo più efficace possibile, con tutti i colori e la creatività che rendono speciale ed entusiasmante il nostro mestiere, ma con la dovuta sincerità.

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Il mio blog (www.nicolabellotti.it)

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