Il ricambio della politica è necessario ma non eliminando la politica stessa. Sarebbe come voler guarire un malato staccandogli il respiratore.
Friedrich Nietzsche diceva che “spesso contraddiciamo un’opinione, mentre ci è antipatico soltanto il tono con cui essa è stata espressa.”
E tale massima credo si presti davvero bene a descrivere il clima irreale, e per certi aspetti gravissimo, che il nostro Paese sta vivendo, ancora una volta, e da troppo tempo.
Con l’inchiesta di “Mani Pulite” abbiamo assistito alla distruzione, finemente studiata e scupolosamente realizzata, dei partiti di maggioranza della Prima Repubblica: al grido di “in galera!” e di “a morte il cinghiale!”, il popolo italiano, o comunque una parte ben organizzata di esso, ha giustificato tutto.
In primo luogo, una Procura di Milano che, assolutamente cieca e partigiana nei confronti degli esponenti del Pci/Pds e dei loro reati, determinava quotidianamente la gogna mediatica (e la fine politica) di partiti storici come la Dc, il Psi, il Pli, il Pri ed il Psdi, partiti che, dopo la caduta del Muro di Berlino e dell’Unione Sovietica, avevano paradossalmente vinto la sfida con il Pci sul piano storico, politico e valoriale.
Eppure, di fronte all’assordante silenzio di gran parte dell’opinione pubblica, troppo impegnata a credere a personaggi del calibro di Antonio Di Pietro, la politica italiana fu, da un giorno all’altro, senza tante balle pacifiste e garantiste, decapitata della sua storia e della sua credibilità, disintegrata penalmente e moralmente con l’unico scopo di far spazio a coloro che, comunisti o democratici di sinistra, pur avendo maledettamente indicato per cinquant’anni Mosca ed il socialismo reale come il sol dell’avvenir, rimanevano gli unici non coinvolti volontariamente negli scandali di Tangentopoli. Proprio loro che, tra sindaci, presidenti, assessori, enti pubblici e sindacali, avevano comandato, insieme a socialisti e democristiani, centinaia e centinaia di giunte e di consigli regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali.
Ma l’apoteosi di questa gloriosa stagione di manette tintinnanti, di avvisi di garanzia che in realtà erano condanne senza processo e di suicidi illustri (alcuni dei quali avvenuti in carcere) la si ebbe con il passaggio “naturale” dell’eroe nazionale Di Pietro da pubblico ministero inquisitore a ministro di un governo formato proprio da quello stesso Pci/Pds uscito indenne dalla bufera giudiziaria. Incredibile ma vero.
Tutto questo come lo si potrebbe chiamare? Golpe giudiziario? Colpo di stato senza armi convenzionali? Come si potrebbe definire un Paese dove un magistrato abbatte, in un’aula di tribunale, quasi tutti i partiti democratici e il giorno dopo veste i panni del ministro in un governo dove siedono gli esponenti dell’unico partito non abbattuto in quelle stesse aule giudiziarie?
Ebbene, nonostante tale lezione, dal 1993 ad oggi, poco è cambiato. Se non in peggio.
Assistiamo, ora, alla patetica quanto grottesca messinscena della nascita “partecipata” di un Partito Democratico che altro non è che la sommatoria delle nomenklature degli ex Pci/Pds/Ds in cerca di un’identità che nemmeno loro sanno più dove stia con quella sinistra democristiana che, dietro alle facce spendibili di Letta e Franceschini, giocano ancora una volta con il voto dei cattolici su temi fondamentali quali la vita e la famiglia.
E sul fronte del centrodestra, al quale molti italiani oggi tornano a rivolgere il loro sguardo desolato nella speranza che Prodi, Padoa e Visco facciano definitivamente le valige, si continua a giocare a nascondino con politiche incomprensibili e spesso suicide: con Berlusconi (che, dicano quel che vogliono, è ancora l’unico a rappresentare il sentimento popolare del centrodestra) troppo tifoso della valida ma ancora acerba Brambilla; con Fini che parla sempre molto bene ma che è mal consigliato sui tempi e sui modi di prendere i treni che passano; con Bossi che dovrebbe decidersi, per il bene del suo movimento politico, a nominare un suo successore e con Casini che, non me vogliano gli amici dell’Udc, riscuote sempre meno simpatie in un elettorato esasperato dove il centrismo, inteso come eccessiva moderazione e anticamera permanente di eventuali inciuci, non ha più senso.
In questa palude, tra sinistre trasformiste ed illiberali (oggi vige un vero stato di polizia fiscale) e destre sempre in bilico tra la rissa ed il litigio, ci stanno gli Italiani.
E’ da qui che muove i suoi passi, fin troppo chiari e clamorosi, il predicatore appesantito dagli anni e dai chili che risponde al nome di Beppe Grillo.
La sua ricetta? Semplice. A morte i partiti, i politici e tutto ciò che ha il sapore della politica. Non importa se di destra o di sinistra.
Ce n’è per tutti: il Grillo nazionale del V-Day (dove “V” sta per vaffan….) dispensa qualunquismo a volontà e frasi ad effetto tanto gradite da quel popolo italiano che, a cicli storici, ama riempire le piazze per inneggiare al Messia di turno salvo poi, qualche anno dopo, appenderlo a testa in giù in mattanze fisiche o mediatiche a seconda dei tempi e delle abitudini.
Ma, stavolta, la faccenda si mette male. Già, perchè un conto è chiedere a gran voce, e legittimamente, un ricambio generazionale della politica (chi scrive ha 33 anni ma nel centrodestra non ha mai avuto tappeti rossi e porte aperte, anzi…); un conto, invece, è indurre un popolo, stanco ma anche decisamente superficiale nel saper analizzare i fatti (del resto, oggi, il programma televisivo più seguito è “L’isola dei famosi”), a disprezzare l’ordinamento democratico e i partiti politici che, la storia insegna, sono invece elemento vitale di libertà e di partecipazione alla vita pubblica di uno Stato.
In sostanza, il ricambio della politica è necessario ma non eliminando la politica stessa. Sarebbe come voler guarire un malato staccandogli il respiratore.
Questa, però, è la situazione attuale, amici miei. Chi non sta con Beppe Grillo è un corrotto ed un complice e, come tale, nelle piazze viene additato come nemico del vero ed unico rinnovamento.
Non a caso, uno dei primi politici a spendere parole di sostegno e di stucchevole contemplazione alla “grillite acuta” è stato, ma guarda un pò, l’ex pm ed ora ministro, Antonio Di Pietro.
Meditiamo, gente, meditiamo. Prima che sia troppo tardi.